Si è spento a 91 anni: fu un rivoluzionario con oltre cento film all'attivo, a partire da «Fino all'ultimo respiro» vero manifesto del nuovo...
A guidare tutto, l’ambizione di un pensiero che esca dai propri limiti personali e individuali e che si confronti con quello che il cinema ha significato per l’uomo: «La storia del cinema è la grande storia. Film come Allemagne année 90 neuf zéro (1991), JLG/JLG – Autoritratto di dicembre (1992), For Ever Mozart (1996), Film Socialisme (2010), Addio al linguaggio (2014) fino all’ultimo Le Livre d’image (palma d’oro speciale al Festival di Cannes 2018, dove naturalmente non si è presentato a ritirarla) sono altrettanti capitoli di un percorso che ha spinto il cinema a riflettere come la filosofia e ad agire come la politica. Una libertà che diventa sempre più evidente nei film successivi, dove il suo linguaggio cinematografico si fa più anticonvenzionale e disarticolato grazie anche a didascalie e giochi di parole («La fotografia è la verità, il cinema è la verità 24 volte al secondo»), a volte a rischio di confusione ideologica (come in Le petit soldat, contraddittoria riflessione sulla Guerra d’Algeria che dovette aspettare due anni - girato nel 1961 uscì nel ’63 - per ottenere il visto. Un primo periodo, questo, che trova in Il bandito delle undici (1965, con Belmondo e la Karina, ai tempi sua compagna) e poi in La cinese (1967) la messa in discussione definitiva della forma tradizionale del film (nell’ultimo, il regista arriva a interrogare fuori campo un attore o fa vedere il direttore della fotografia Roul Coutard al lavoro). Perché con tutte le sue opere - più di un centinaio, di tutti i formati e le lunghezze possibili - Godard ha costruito «una specie di foresta magica in cui ci si perde a piacere» (la bella definizione è di Jean-Marie Frodon), dove ognuno può trovare quello che vuole e nello stesso tempo il suo contrario, la tesi e la sua antitesi. Bisogna tener presente questo atteggiamento per capire davvero l’idea di cinema che muove il giovane Hans Lucas (questo lo pseudonimo con cui firma i suoi articoli) quando inizia a collaborare prima alla «Gazette du Cinéma» e poi, dal 1952 ai «Cahiers du cinéma», strenuo difensore del cinema americano (da Hitchcock a Nicholas Ray a Jerry Lewis) e di una visione che mescola disinvoltamente pittura, letteratura e cinema.
Regista, sceneggiatore, montatore e critico cinematografico, Jean-Luc Godard è stato (e rimane) uno dei nomi più importanti del panorama cinematografico della ...
[studio in Svizzera](https://artslife.com/2019/12/03/lo-studio-di-jean-luc-godard-si-trasferisce-definitivamente-alla-fondazione-prada-di-milano/) la sua rivisitazione critica del fare cinema non conosce sosta. Quando si parla di storia del cinema, di registi che hanno fatto la rivoluzione, di maestri, di icone, di geni, in tutti quei casi si parla di autori come Jean-Luc Godard. Seguono anni febbrili, con Vivre sa vie (1962), premiato a Venezia con il Leone d’Argento,
Il regista è morto a 91 anni e il suo nome è già nella storia di quella settima arte che ha segnato il secolo scorso.
[Fino all’ultimo respiro ](https://it.wikipedia.org/wiki/Fino_all%27ultimo_respiro_(film))Godard firma la bellezza di 14 film. Come prima c’era stata la cesura tra il periodo del muto e quello del sonoro. Una fucina di talenti che prima di pensare a mettersi dietro la macchina da presa aveva in comune il sogno di pubblicare un romanzo per la prestigiosa casa editrice Gallimard. Con “Fino all’ultimo respiro” la storia del cinema avrà un prima e dopo Godard. [Jean-Luc Godard ](https://www.huffingtonpost.it/cultura/2022/09/13/news/e_morto_jean-luc_godard_il_regista_simbolo_della_nouvelle_vague-10202171/)è morto a 91 anni e il suo nome è già nella storia di quella settima arte che ha segnato il secolo scorso. Gli attacchi sbagliati, il montaggio caotico, la frammentazione della struttura narrativa, le citazioni dei b-movie americani, ma soprattutto il sorriso da canaglia di Jean-Paul Belmondo che insegue sugli Champs-Elysées la dolce e sfortunata Jean Seberg intenta a vendere il “New York Herald Tribune”: è “Fino all’ultimo respiro”, l’esordio da brividi di Godard.
Il leggendario regista francese è scomparso a 91 anni. Nato a Parigi il 3 dicembre del 1930, è stato uno dei maestri della Nouvelle Vague, ma soprattutto ha ...
Il regista francese Jean-Luc Godard è morto a 91 anni. Dal suo primo lungometraggio, Fino all'ultimo respiro, il suo cinema ha fatto scuola.
[L'ultimo lavoro di Godard, Le livre d'image ](https://www.repubblica.it/speciali/cinema/cannes/festival2018/2018/05/11/news/godard-196109760/?ref=search)(Il libro dell'immagine) è stato presentato in concorso al festival di Cannes ma Godard non è andato. Alla critica radicale del linguaggio cinematografico tradizionale, si unì, nei film successivi, una sempre più consapevole critica dei valori sociali dominanti: Questa è la mia vita (1962), La donna è donna (1962), Les carabiniers (1963), Il disprezzo (1963), con Brigitte Bardot e Michel Piccoli, tratto dall'omonimo romanzo di Alberto Moravia, Una donna sposata (1964), Il bandito delle ore undici (1965) sempre con Jean-Paul Belmondo, Il maschio e la femmina (1966), Una storia americana (1966), Due o tre cose che so di lei (1966). [biopic di Michel Hazanavicius Il mio Godard](https://www.repubblica.it/spettacoli/cinema/2017/10/31/news/hazanavicius_per_un_regista_l_importante_e_girare_-179864032/?ref=search), con Louis Garrel nei panni del regista, un personale omaggio al maestro che racconta la storia d'amore tra il cineasta e l'attrice Anne Wiazemsky e i giorni del Maggio parigino in cui fermò il festival di Cannes insieme ai colleghi della Nouvelle Vague. Liricità e ironia, consapevolezza della crisi e una nuova sensibilità figurativa sembrano invece prevalere nei film girati dalla fine degli anni Settanta: "Si salvi chi può" (1979) con Isabelle Huppert, Prénom Carmen (1982), Je vous salue Marie (1984), Détective (1985), Nouvelle vague (1990), Germania nove zero (1992). [tra i più significativi autori cinematografici](https://www.repubblica.it/spettacoli/cinema/2022/09/13/news/morto_jeanluc_godard_il_maestro_visionario_che_cambio_le_regole_del_cinema-365476145/) della seconda metà del Novecento. [Godard](https://www.repubblica.it/spettacoli/cinema/2022/09/13/news/morto_jeanluc_godard_il_maestro_visionario_che_cambio_le_regole_del_cinema-365476145/) ha diretto oltre 150 le sue opere tra film e video.
È scomparso all'età di 91 anni il grande regista e critico franco-svizzero, da molti considerato il regista francese più influente del dopoguerra.
O ancora Histoire(s) du cinéma, un progetto video di 266 minuti in 8 parti alla fine degli anni ’80 e completato nel 1998, che prende in esame la storia del concetto di cinema e del suo rapporto con il XX secolo, ed è considerata l’opera magna di Godard. Film come Vivre sa vie (1962), Bande à part (1964) e Pierrot le Fou (1965) furono definiti “probabilmente il corpus di opere più influenti nella storia del cinema” dalla rivista Filmmaker, e Godard è oggi considerato tra i più significativi autori cinematografici della seconda metà del Novecento. Come critico, Godard criticò la “Tradizione della qualità” del cinema francese tradizionale, sfidando nelle proprie pellicole le norme del cinema narrativo commerciale con omaggi e riferimenti alla storia del cinema e dichiarate opinioni politiche marxiste: è anche con il suo film del 1960 À bout de souffle, Orso d’Oro per la regia al Festival di Berlino, che nasce il movimento della Nouvelle Vague.
Era nato a Parigi il 3 dicembre 1930. Tra i più significativi autori cinematografici della seconda metà del Novecento, esponente di rilievo della Nouvelle vague ...
Ha "riscritto", con un taglio critico, una personale storia del cinema attraverso le immagini con 'Histoire(s) du cinéma' (1998), 'L'origine du XXIème siècle' (2000) e 'Pour une histoire du XXIème siècle' (2000). Negli anni Novanta Godard proseguì la sua ricerca di nuove forme visive realizzando 'Ahimè!' (1993), 'Forever Mozart' (1996). Liricità e ironia, consapevolezza della crisi e una nuova sensibilità figurativa sembrano invece prevalere (pur nella fedeltà a un'idea di cinema come rischio formale e ideale e a uno stile sempre innovativo e sperimentale) nei film girati dalla fine degli anni Settanta: 'Si salvi chi può' (1979); 'Prénom Carmen' (1982); 'Je vous salue Marie' (1984); 'Détective' (1985); 'Nouvelle vague' (1990); 'Germania nove zero' (1992).
Celebre il suo primo lungometraggio "Fino all'ultimo respiro" del 1959 con Belmondo e Seberg, manifesto della nouvelle vague francese.
Ha "riscritto", con un taglio critico, una personale storia del cinema attraverso le immagini con "Histoire(s) du cinéma" (1998), "L'origine du XXIème siècle" (2000) e "Pour une histoire du XXIème siècle" (2000). Più recentemente ha diretto: "Éloge de l'amour" (2001); "Notre musique" (2004); "Vrai faux passeport" (2006); il cortometraggio "Une catastrophe" (2008); "Film socialisme" (2010); "Adieu au langage" (2013, per il quale l'anno successivo ha ricevuto il Premio della giuria al Festival di Cannes); "Le livre d'image" (2018, Palma d'oro speciale alla 71a edizione del Festival di Cannes). Il regista francese Jean-Luc Godard è morto a Parigi all'età di 91 anni.
Il regista franco-svizzero era stato uno dei fondatori della corrente della Nouvelle Vague, e uno dei registi che più ha influenzato il cinema francese.
"Era il più iconoclasta fra i registi della Nouvelle Vague - ricorda Macron - aveva inventato un'arte assolutamente moderna, intensamente libera. Fra i più celebri, quello che viene considerato il manifesto della Nouvelle Vague, 'A bout de souffle' (All'ultimo respiro), girato nel 1960, protagonisti Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg. Poi, ne divenne un maestro": così in un tweet, il presidente francese, Emmanuel Macron, ricorda Jean-Luc Godard, il regista della Nouvelle Vague, scomparso oggi a 91 anni.
Aveva 91 anni ed era stato uno dei più importanti registi del cinema francese, tra i fondatori della Nouvelle vague.
Dagli anni Settanta in poi ritornò a fare film più tradizionali, sempre però sperimentando soprattutto dal punto di vista del linguaggio visivo, e dedicandosi più spesso ad ambientazioni domestiche e famigliari. Nato a Parigi nel 1930 in una famiglia benestante, negli anni successivi a Fino all’ultimo respiro Godard girò Il disprezzo, con Michel Piccoli e Brigitte Bardot, con una memorabile scena a Villa Malaparte a Capri, e Bande à part, la cui sequenza della corsa dentro al museo del Louvre fu in seguito spesso citata e imitata. Fino all’ultimo respiro, il suo primo lungometraggio, con Jean Seberg e Jean-Paul Belmondo, è considerato ancora oggi un manifesto della Nouvelle vague e uno dei film più importanti del decennio, sia per le novità stilistiche che conteneva sia per l’originalità della sceneggiatura. I dialoghi spesso improvvisati dei suoi film, il montaggio serrato, l’approccio “meta” – pieno di citazioni cinematografiche e che talvolta rompeva la cosiddetta quarta parete – e i suoi personaggi irriverenti, narcisisti e ai margini della società, Godard definì uno stile che sarebbe stato amato e imitato gente come Martin Scorsese e Quentin Tarantino. Rimane tuttora uno dei registi più citati e studiati nei corsi di storia del cinema. Fin dai suoi primi film, girati nei primi anni Sessanta, Godard si affermò come regista innovativo e radicalmente sperimentale, di grande influenza sui suoi contemporanei e sulle generazioni successive di registi, in Francia come a Hollywood.
A dare la notizia è il giornale francese Liberation. Nato a Parigi il 3 dicembre del 1930, il cineasta francese ha rivoluzionato la storia del cinema con ...
Tra le opere di Godard si ricordano anche "Le petit soldat", "La donna è donna", "I sette peccati capitali" e "Il Disprezzo" che fu ispirato al romanzo di Alberto Moravia. L'anno di svolta fu il 1959 quando arrivò il suo primo film, "Fino all'ultimo respiro", per il quale ottenne l'Orso d'Argento al Festival di Berlino. Oltre 150 le sue opere, tra film e video
Ci lascia a 91 anni uno dei personaggi più influenti del cinema mondiale, tra le menti più innovative e sperimentali della settima arte.
Nasce a Parigi il 3 dicembre 1930 in una ricca famiglia borghese protestante di origine svizzera. Mosso dalla consapevolezza che la realtà non fosse più interpretabile attraverso semplici meccanismi di causa-effetto, il regista ha saputo portare sul grande schermo la complessità del Novecento. E in pochi minuti ha fatto il giro del mondo.
Uno dei fondatori del movimento cinematografico francese, è scomparso all'età di 91 anni. I suoi capolavori hanno segnato la storia del cinema.
La sua ultima opera, “Le livre d'image”, è stata presentata al festival di Cannes nel 2018, a cui il regista non è riuscito a essere presente fisicamente, preferendo comparire in videochiamata. La sua carriera di regista inizia in seguito a diversi viaggi in America e dopo la sua partecipazione ad alcuni lavori di costruzione della diga della Grande Dixence in Svizzera, la più alta d'Europa. Si pensi per esempio alla scena della corsa nelle sale del Louvre, che ritroviamo anche in The Dreamers di Bernardo Bertolucci, mentre la casa di produzione di Quentin Tarantino si chiama A Band apart dal titolo del film del 1964 Bande à part del cineasta francese.
Il regista franco-svizzero era stato uno dei fondatori della corrente della Nouvelle Vague, e uno dei registi che più ha influenzato il cinema francese.
Alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica della Biennale di Venezia del 1982 diretta da Carlo Lizzani, Jean-Luc Godard è stato premiato col Leone d'oro alla carriera. "Era il più iconoclasta fra i registi della Nouvelle Vague - ricorda Macron - aveva inventato un'arte assolutamente moderna, intensamente libera. Fra i più celebri, quello che viene considerato il manifesto della Nouvelle Vague, 'A bout de souffle' (All'ultimo respiro), girato nel 1960, protagonisti Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg.
È morto a 91 anni a Parigi Jean-Luc Godard, che rivoluzionò il modo di fare cinema portando la macchina da presa sulla strada.
È il tempo di Numéro deux Godard (1975), Si salvi chi può (la vita), Passion (1982), dove la narrativa per immagini è staccata dal racconto e vive autonoma nel suo significato intrinseco, e Prénom Carmen (1983) che vince il Leone d’oro a Venezia. Si tratta degli ultimi disperati tentativi di un filosofo per immagini di interagire con l’uomo, calato nel suo tempo e nella sua storia e di distruggere le barriere borghesi in cui è nato e cresciuto, sempre contestandole. Godard sembra definitivamente ritirarsi dalla collettività, con una sperimentalità che mescola video privati, sottotitoli (già per altro usati), voci fuori campo in montaggi che sono atti di critica verso la società e l’uomo con presenza invasiva della musica classica. La sua natura provocatoria e innovativa si mostra subito nel promuovere i registi americani, come Nicholas Ray, ma anche Hitchcock, che viene considerato commerciale e che viene riabilitato solo molto più tardi dal libro intervista del sodale della Nouvelle Vague, François Truffaut (che firma anche il soggetto di All’ultimo respiro). Il periodo di più grande creatività va dal 1960 al 1967, in cui realizza ventidue film, da Agente Lemmy Caution: missione Alphaville a Il bandito delle 11, Due o tre cose che so di lei, un’indagine di tipo sociologico in fiction sull’ambiente parigino con Juliette Janson e Marina Vlady. Nel 1969 fonda il Gruppo Dziga Vertov con altri registi, propugnando l’dea di un cinema collettivo, condiviso e non gerarchico.
Sotto l'impulso di Jean-Luc, Truffaut e Rivette, più che mai decisi a far reintegrare Henri Langlois, la situazione subì una rapida accelerazione. Alcuni ...
Era Jean-Pierre Léaud, dall’aria un po’ scombussolata, che si trovava in compagnia di Chris Marker e della piccola squadra tecnica di cine-tracts che rendevano conto giorno per giorno degli avvenimenti dall’inizio del mese di maggio 9. I sampietrini passavano di mano in mano a un ritmo molto sostenuto, in un silenzio impressionante. Deleuze si lamentava di non poter raggiungere la stazione di Lione e che avrebbe perso il suo treno. Pierre si era addormentato prima dell’inizio di Metropolis, lei si era guardata bene dal chiamarlo e svegliarlo, pensando così di proteggerlo da quella che si annunciava come una nuova notte di scontri. Pierre amava e ammirava Jean-Luc e io non avevo voglia di rovinare la bella immagine che aveva di lui. Era il primo a unirsi ai gruppi che si riformavano qui e là e che a loro volta attaccavano. Accesi il grande apparecchio radio, capace di captare Radio Pékin, che Jean-Luc aveva filmato in La cinese e ascoltai un giornalista raccontare in diretta gli scontri tra gli studenti e i poliziotti. Sapevo che si doveva tenere un incontro e che l’Università di Nanterre era stata chiusa, ma non sapevo molto di più, nonostante i racconti che mi faceva Jean-Luc quando la sera ci ritrovavamo. Sapevo ciò che il cinema gli doveva e la Cinémathèque di Chaillot era per me, come per gli altri, un luogo sacro. All’improvviso spuntarono studenti da tutte le parti, inseguiti da quella che mi sembrava un’armata di poliziotti, con il casco e il manganello in mano, che colpivano senza distinzione i ragazzi che riuscivano ad afferrare. Appena arrivammo a casa, si precipitò a raggiungere il comitato che si era formato per la difesa di Henri Langlois e che François Truffaut, Jacques Rivette e Barbet Schroeder guidavano con eccitazione. Ci fu qualche primo scontro, non violento, più nella tradizione di Guignol, che sfociò in un compromesso: ci autorizzavano a raggrupparci sul piazzale giusto il tempo di leggere un appello rivolto al governo e firmato da tutto il mondo del cinema.
Il padre della Nouvelle Vague non era malato, ma "stremato" e ha fatto ricorso al suicidio assistito nella natìa Svizzera.
“A tal punto che è diventato il portabandiera del movimento nel mondo", ha ricordato Le Monde. “Come ogni volta che muore un personaggio eccezionale, Godard porta con sé qualcosa strappandola alla coscienza collettiva", ha scritto il quotidiano Libération, il primo ad aver pubblicato la notizia della sua morte. Negli anni ’80 torna alla ribalta e reintegra il circolo ‘classico’ del cinema, regalando a critici e pubblico altri capolavori quali “Sauve qui peut (la vie)”, nel 1980. È così che Godard si ‘trasforma’ in cineasta rivoluzionario, alleandosi al gruppo Dziga-Vertov, pioniere del cinema sovietico, e firma una serie di opere nel segno del marxismo leninismo, quale Le Vent d’est (1970), internazionalizzando la sua produzione. Due anni dopo con “Pierrot le fou” firma un road movie di una coppia in fuga, quella formata da Belmondo e Anna Karina, la moglie che Godard stava lasciando. Litiga a tal punto con la sua famiglia che nel 1954 gli viene vietato di partecipare ai funerali della madre.
Si è spento oggi all'età di 91 anni Jean-Luc Godard, padre della nouvelle vague e nume tutelare del cinema francese e internazionale.
Ma per Godard non si tratta solo, riducendo il personale e la strumentazione tecnica, di assottigliare la barra che separa cinema e vita: Coutard sottolinea come l’obbiettivo principale sia andar contro le regole stabilite, riesplorare più in profondità le possibilità del mezzo. A differenza della generazione precedente di registi, per i quali fare film consisteva spesso (così potremmo tradurre gli attacchi di Truffaut) nell’innestare del ‘fabbricato’ sul già ‘fabbricato’ – dialoghi artificiali su interpreti polimorfi, testi letterari (adattati dai soliti sceneggiatori patentati) sul cartongesso di un décor artificiale –, i registi della Nouvelle Vague hanno fatto la scelta, oggi ben nota, di innestare le loro finzioni sulle strade vere di Parigi, strade con i loro veri passanti e le loro vere macchine, e di filmare all’interno di vere stanze, come quelle dove essi stessi vivevano. Lo sfruttamento e la sperimentazione di nuove tecniche (all’epoca di Fino all’ultimo respiro la Cameflex e la camera a mano, un nuovo sistema di illuminazione dall’alto, non effettistica, e che permetteva una maggior libertà di messa in scena, un lavoro sulle emulsioni in bianco e nero), come del resto la rimessa in discussione delle abitudini tecniche tradizionali e della successione delle operazioni di scrittura, sia in fase di ripresa che di montaggio, sono ora i fattori che condizionano e rendono possibile l’apparizione di nuove forme. Se all’inizio degli anni Sessanta, come già si era fatto vent’anni prima dopo Quarto potere, si è potuto dividere la storia del cinema in “prima e dopo” Godard, dipende dal fatto che la rivoluzione godardiana, ancora prima di essere una rivoluzione linguistica, o estetica, prende l’avvio da una nuova pratica del cinema. Attraverso una radicale rimessa in questione – o, meglio, attraverso una messa in crisi – di tutte le regole e di tutte le consuetudini tecniche di ciò che era divenuto, col passar del tempo, il cinema. Reinventare il cinema, per Godard, non vuol dire raccontare altre storie, e neanche raccontarle in un altro modo, ma in primo luogo significa ritornare all’origine (mito della prima volta e di un’età perduta destinato ad ossessionare il cinema, dal momento in cui, con la Nouvelle Vague, è destinato a prendere coscienza di se stesso e di ciò che in lui finisce), significa ripartire dai ferri del mestiere, dallo strumento-cinema, per vedere che cosa ce ne si possa ancora fare, come usarlo in modo differente, perché sputi il rospo e possa partorire possibilità nuove, stanandolo dai suoi ultimi ridotti.
E' uno degli episodi mitologici della storia del cinema, ma non c'è niente di inventato, accadde sul serio. (ANSA)
Lunghe file fuori per vederlo e discussioni a non finire, come sempre per le opere di Godard che si era collegato dalla Svizzera in videoconferenza, anticipando la 'moda zoom' della pandemia. Cannes oggi ha ricordato il maestro: Dalla sua prima apparizione al Festival con Cleo dalle 5 alle 7 nel 1962, sono stati 21 film di Jean-Luc Godard proiettati. Il ministro della cultura di allora Andre' Malraux aveva rimosso Henri Langlois dalla Cinematheque Francaise (l'episodio è anche in The Dreamers di Bernardo Bertolucci): una interferenza politica pesante.
La persona che mi porta le cassette di Sympathy for the Devil, proponendone l'acquisto (siamo in un ufficio Rai), mi dice: «Sì, è un film datato, 1974, ...
Sulla sabbia del mare c’è la gru del grande cinema 35 mm manovrata dal militanti del black power non per «riprendere» ma solo per «prendersela» issandoci sopra la Wlazemski immolata e la cinepresa stessa con bandiere rosso-nere contro il sole. Oltre a Gimme Shelter, che si assumeva appunto il compito intollerabile e soprattutto impossibile di dire una o la verità del rock, ci furono Sadismo (Performance, di Donald Cammell e Nicholas Roeg, anche fotografo) e I fratelli Kelly (Ned Kelly, di Tony Richardson). L’unico film il cui titolo balza fuori e si scrive vicino all’altro è di nuovo un film – Rolling, Gimme Shelter, il meraviglioso documentario montato dal fratelli Maysles intorno al grande concerto gratuito di Altamont. E sopra appunto Satisfaction, in un’esecuzione dal «vivo», ma rovesciata, cioè registrata dall’inizio alla fine, riconoscibilissima ma parlata in una lingua sconosciuta, un po’ angosciosa nell’inseguire affannosamente l’inizio. Alla fine, in ogni caso, il coretto è quello che ricordiamo nel disco. C’erano anche le cineprese, pronte per il grande film – sul – concerto, e quindi nel film si vede tutto. Nessun film ha mai dato come Sympathy for the Devil l’immagine doppia (almeno, ma non esageriamo…) del rock, la compattezza energetica e la dissipatezza di un corpo fratturato e disperso, un Frankenstein smontato i cui pezzi vanno benissimo anche uno per conto loro. La facilità del roll, verrà dopo, magari in concerto o al suono del disco. In cinque minuti, mi accorgo che Godard ha fatto il più straordinario film che si sia mai visto su una rock – star, sulla musica rock, sul rock. E subito dalle filmografie salta fuori (troppo ovvio averlo dimenticato!) che il film è del 1968. Obietto che mi pare ancora più «anziano», come film, lì per lì azzardo un 1970; comunque, quando l’avevo visto mi era piaciuto molto, mi sembrava uno dei migliori Godard, poi In Italia non era mai stato distribuito regolarmente…. Avanti e indietro quante volte voglio, ora non è come quando il film andava inseguito in rare salette, quei tempi lontani.
Il regista franco-elvetico, uno dei cineasti simboli della Nouvelle Vague, si è spento all'età di 91 anni nella sua casa di Rolle, sulle rive del lago ...
Ha "riscritto", con un taglio critico, anche una personale storia del cinema attraverso Histoire(s) du cinéma (1998), L'origine du XXIème siècle (2000) e Pour une histoire du XXIème siècle (2000). Per il direttore della Cineteca svizzera Frédéric Maire, "Godard era IL cinema, con la maiuscola". Il decesso di colui che è considerato uno dei registi più significativi della seconda metà del Novecento, esponente di spicco della Nouvelle Vague, che sul finire degli anni Cinquanta rivoluzionò i codici del cinema, ha suscitato un'ondata di reazioni di cordoglio.
Lo spettacolo si chiamava Ritorno a Alphaville, in scena c'erano tra gli altri Licia Maglietta, Vittorio Mezzogiorno (in video), Andrea Renzi, Tomàs Arana, Toni ...
È un regista, un filosofo, la sua parola ha pensato una maniera più ampia di abbinare rigore e libertà in una grande lezione che non si può imitare. Ed è questo che ci ha mostrato e insegnato Godard con la sua opera. Se penso a un film tra i suoi più recenti come Adieu au langage (2014), che è meraviglioso, conserva in sé un modo di fare cinema che è vicino a quello di quarant’anni prima, e al tempo stesso rivela le intuizioni sull’avvenire.
Al momento dell'annuncio della sua morte, avvenuta nella sua casa svizzera di Rolle con la pratica del suicidio assistito, le mille e una tessera del ...
Ma la rivoluzione mondiale, che il gruppo cerca al tempo stesso di filmare e di applicare, è per Godard un modo nuovo per esplorare il cinema, in qualche modo riportandolo alle sue origini: al semplice registrare il rumore del mondo. La nuova sfida del presente è il rapporto tra il progresso tecnico del cinema (e in particolare del video) e la propria personale ricerca artistica. Tra il 1968 e il 1973, Godard fonda il Gruppo Dziga Vertov, che in realtà è soprattutto un duo (Godard + Jean Pierre Gorin) al quale si aggiunge poi Anne-Marie Miéville, la quale diventerà poi la moglie di Godard. La versione francese è per certo uno dei film più diabolici mai concepiti (mentre la versione italiana, che non è di Godard ma del produttore Ponti, è uno dei più sciocchi). Il film è un requiem dell’epoca d’oro del cinema e una sorta di requisitoria contro di esso. Con un tocco di magia (e una foto di Bogard), Godard lo trasforma in erede di tutto il cinema noir americano. Con il senno di poi, è chiaro che c’è già in quel film l’idea di usare le immagini come fossero parole.Così come parole antiche o cadute in disuso possono entrare in un romanzo moderno, così vestigia di hollywood e cariatidi del cinema francese come Sacha Guitry possono esprimere il tempo presente. O ancora, del film centrale di questo primo periodo: Le mépris (Il disprezzo), con Brigitte Bardot, Michel Piccoli, Fritz Lang e Jack Lang – girato tra gli studios di Cinecittà e la villa Malaparte a Capri. Anche se non si è mai pensato come un critico di professione, forse più dei suoi compagni dei «Cahiers», Godard resterà un critico tutta la vita, per prima cosa di se stesso. Che si tratti di Anna Karina e Michel Subor nel film sulla guerra in Algeria Le Petit soldat (1960) o ancora di Belmondo con Anna Karina, nella fuga di Pierrot le fou, e infine nella commedia noir di Week end (1967). Ma perché Godard è da sempre il nostro contemporaneo, in ogni epoca, il nostro presente – in tutti i sensi che si possono attribuire a questa parola. UN PRIMO senso dell’essere presente appare nel Godard critico cinematografico, tra il 1952 e il 1959, e in seguito lo accompagna per tutta la vita.
Hawks, Lang, Siegel, Tashlin, Fuller, Jerry Lewis…amato/odiato a seconda dei momenti, il cinema americano è parte del Dna dell'opera di Godard, ...
Le cose iniziarono ad andare male a partire dalla prima tappa, Los Angeles, dove non era mai stato prima e gli studenti lo aspettavano con trepidazione: «Sono perfettamente serio quando dico che, per me e per un numero crescente di giovani con la testa sul collo, Godard è importante quanto Sartre, Hesse e Dostoevskij» scrisse al tempo Gene Youngblood sul «Los Angeles Free Press». Ma dopo tappe di un giorno in Texas e Kansas, Godard trovò una scusa per scappare in Francia, tagliando il resto del tour, e riapparì solo alla New York University, in occasione della première. Le tracce del soggiorno godardiano alla Zoetrope si trovano negli estratti di sceneggiatura che Godard incluse in Jean-Luc Godard: Due o tre cose che so di me – una storia che partiva a Las Vegas, metà poliziesca metà film su un film, con Robert De Niro e Diane Keaton; e in un movimento di macchina (realizzato utilizzando il dolly di One From The Heart, il film che avrebbe dettato la bancarotta della Zoetrope) in Passion, che la Zoetrope distribuì in Usa, come Si salvi chi può (la vita).
Morto in Svizzera il padre della Nouvelle Vague francese. “Era esausto”. Aveva 91 anni. E Macron annuncia una grande consultazione sul fine vita: &…
Nell''ultima scena del suo penultimo film documentario “Village Visage”, Agnès Varda - regista tra le pioniere della Nouvelle Vague - si reca, ...
Ha violentato il cinema e la sua grammatica. Godard ha reinventato il cinema e con esso lo sguardo dello spettatore e la percezione del mondo. L’ultimo poeta della contraddizione e della dialettica. Cinema della differenza e della ripetizione. E con esso ha penetrato, smembrato, vivisezionato il nostro inconscio collettivo. Il cinema di Godard, d’altronde, non era spettacolo. Tutto il grande mistero della vita, con le sue emozioni più intime e nascoste, con i suoi conflitti e magmatiche dinamiche sociali, viene filtrato dalla Macchina da Presa del grande regista francese. E per questo, cinema etico, poetico, politico. Un intellettuale in conflitto perenne con l’asettico dominio biopolitico del Capitale e con le sue protesi mercantili. Un artista coerente e lucido. Le si è seduto di fronte, l’ha sfidata e le ha dato scacco matto in tre mosse. Come il desiderio di Lacan.