Kvaratskhelia in georgiano vuol dire, letteralmente, “carbone ardente”. Parola di Mamuka Kvaratskhelia, zio alla larga di Khvicha, che aveva promesso un ...
Una boccata d’aria nel calcio ultra-cerebrale contemporaneo, così scientifico e irregimentato; il pallone del talento prodotto in serie, delle catene di montaggio e degli allenamenti intensivi, della tattica sopra la tecnica. Eppure Kvaratskhelia non è giocatore che si possa riassumere coi numeri, con gli expected goals, nemmeno con le caratteristiche tecniche; è un giocatore che avrebbe bisogno della poesia più che della prosa, di versi in musica, di un Gianni Brera che lo battezzasse con uno dei suoi soprannomi e inventasse per lui neologismi. E anzi che non era ancora arrivata la partita di Champions, nella quale il georgiano ha giocato contro il Liverpool come se fosse sotto casa, estraneo al concetto stesso di pressione, facendo «a pezzi la fascia destra dei Reds» (cit. “Brasiliani del caucaso”, i georgiani, laddove il pallone è intimamente legato al Kartuli, danza tipica in cui è racchiusa l’eleganza e la “cultura del corpo” di questo popolo. Ma anche una Nazione con una particolarissima tradizione calcistica, in cui la globalizzazione pallonara non è ancora arrivata a uniformare talenti e stili di gioco. Nasce a Tbilisi nel febbraio 2001, la capitale della Georgia: una Nazione di circa 3,7 milioni di abitanti, parte della grande Madre Russia e tutt’ora nell’orbita del Cremlino - come dimostrato dall’invasione del 2008 e dal conflitto in Ossezia del sud, con le forze armate di Mosca arrivate ad occupare Gori, 30 km da Tbilisi.