L'immensità è un film che non ce la fa mai. Anche Venezia 79 ha trovato il suo inscalzabile fanalino di coda. Indecisi tra i 60 minuti di Un couple di ...
In mezzo, tanti momenti irrisolti ammonticchiati qua e la (vedi i bambini che vivono nelle baracche che dicono: “Non siamo zingari, ma figli di operai” – e quindi?-; o la Cruz che apparecchia schizofrenicamente la tavola aiutata dai figli ballando al tempo di Rumore della Carrà), per arrivare a 95 lunghissimi impervi minuti, tra cui, per chi è duro di comprendonio, c’è la sequenza del fratellino che gioca coi soldatini, la sorellina con le bambole, e Adriana/Andrea con l’allegro chirurgo (sbatacchiando peraltro la pinzetta sul sensore metallico di continuo). O cosa?) vengono srotolati dalla protagonista tra le stanze di casa a creare nientemeno che la scritta con cui si compone il titolo. Passi che banali statement/aforismi puntellino didascalicamente e a volo d’uccello la “diversità” nascosta di Adriana/Andrea (“Dentro una cosa (??) ce n’è sempre un’altra nascosta”, dice lei; o “è più importante quello che abbiamo dentro di quello che abbiamo fuori”).
Ne L'immensità Adri non si riconosce nel suo corpo di ragazzina. La madre, Clara, è intrappolata in un matrimonio senza amore. Insieme si fanno forza.
Ma chiarisce subito: «Se non c’è dubbio che questo sia un film autobiografico, ispirato alla mia infanzia, è vero anche che non volevo parlare solo di me. Il punto è che Crialese è stato quella bambina e che questo film è il suo coming out come uomo transgender. Roma, anni Settanta, al centro delle vicende una famiglia che sarebbe normalmente disfunzionale se non fosse che la figlia maggiore, Adriana, si sente nata per sbaglio in un corpo femminile.
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La transizione, ha voluto precisare il regista, non si sceglie: «Non è una scelta tra essere o non essere, ma tra vivere e morire. Era una donna che negli anni ‘70-’80 era sola con quello che per tutti gli altri era un problema, mentre per me era un modo di esistere. Questo film, spiega Crialese, ha richiesto tempo per mettere in scena «quello che volevo e quello che dovevo». Era un modo per me di ordinare, mentre a tutti gli altri poteva creare confusione». Nemmeno quando non c’è più amore, tra un padre violento e una madre (Penélope Cruz), adorata, a cui non resta che subire. Siamo negli anni ‘70 e Adriana (Luana Giuliani) è una bambina che si avvia verso l’adolescenza ma che non si è mai riconosciuta nel corpo in cui è nata.
Crialese e Penélope Cruz raccontano L'immensità, storia di una ragazzina che si sente maschio e vera autobiografia (trasfigurata) del regista.
La prima è intrappolata in una casa e in una famiglia, con un marito violento; la seconda intrappolata in un corpo che non sente suo. Penso abbia a che fare con un mio profondo e naturale istinto di maternità…». La sola valvola di sfogo che hanno è la televisione che le connette a un mondo altro di fantasia, di canti e balletti… Ciò non significa che non abbia più in me una gran parte di carattere e sensibilità femminili. Senza contare come nel caso di Clara, la violenza domestica subita. È la sola che la capisce. Eravamo complici ma lei soffriva per me e io per il dolore che le procuravo. «Ho cercato di trovare una chiave che potesse essere personale, ma non troppo autoreferenziale. Posso dire come mi considero io, per me la miglior parte di essere uomo è essere donna… Guarda la tv, canta e balla con la madre. «Questo film è un lavoro sulla memoria, un lavoro sulla mia storia. Quando non frequenta la scuola cattolica, la ragazza trascorre il tempo libero immaginando di comunicare con invisibili entità aliene.
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Il rapporto con quello che dovrebbe essere suo padre è ridotto al minimo (anzi, non esiste), ed è in sua mamma Clara che trova costantemente un rifugio, una novità e una certezza. I legami con quel film sono forti (a cominciare dalle sfumature della protagonista), ma sono anche forti i legami con la memoria, mutevole protagonista de L’Immensità, che per il titolo prende in prestito l’omonimo brano di Don Backy e Johnny Dorelli, e poi rivisto nella splendida versione di Mina. VENEZIA – A undici anni dalle storie mediterranee di Terraferma, Emanuele Crialse si (ri)tuffa in un’opera che riallaccia i legami con il passato, rivolgendo lo sguardo ad un cinema che guarda i prospetti in modo verticale, come si guarda il cielo azzurro nelle giornate d’estate, cercando quelle risposte che non arriveranno mai.
"Mia madre ha sofferto per me, ci vuole sostegno alle famiglie". In concorso a Venezia porta L'immensità con Penelope Cruz (ANSA)
Il loro rapporto è il cuore della storia, "forse perché i personaggi femminili sono quelli che mi interessano davvero, gli uomini invece sono una noia!" Io sono e non sono e voglio rimanere così e spero di non scioccare proprio nessuno. Fin quando più avanti non sono riuscito a cambiare la a con la e - il suo nome di nascita al femminile - e lasciare un pezzo del mio corpo, questo è stato negoziare la condizione.
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Il cuore del film è la libertà, come si possa cambiare, come l’identità sia un fatto relazionale». «È il film che inseguo da sempre, il più desiderato; è sempre stato “il mio prossimo progetto”, un’esplorazione, un viaggio nella memoria. È un film fortemente autobiografico». Non c’è film che non sia autobiografico. [torna in gara](https://www.open.online/2022/08/31/festival-venezia-2022-eventi-non-perdere-redazione-open) alla [Mostra del Cinema](https://www.open.online/temi/mostra-del-cinema-di-venezia/) di Venezia con il film “L’immensità”. Ma non è un film sulla transizione e sul coming out, sarebbe disinformazione.
Il film di Emanuele Crialese, L'immensità, in concorso oggi alla Mostra del Cinema di Venezia, racconta la storia di una ragazzina che si sente maschio.
In un'intervista al Corriere ha detto di aver dovuto operarsi per poter cambiare nome sui documenti.
Di L’immensità ha detto che è «il film che inseguo da sempre, il più desiderato. L’immensità racconta la storia di una famiglia che si trasferisce a Roma negli anni Settanta: il padre è violento e la madre (interpretata da Penelope Cruz) è molto legata ai tre figli, tra cui l’adolescente Adriana che ha 12 anni e si fa chiamare Andrea. Anche se non lo specifica, Crialese si riferisce con ogni probabilità a una legge che in Italia è stata valida fino al 2015 e che prevedeva l’obbligo di sottoporsi a un’operazione chirurgica ai genitali (con la conseguenza della sterilizzazione) per le persone trans che volevano il riconoscimento legale del proprio genere.
Nel suo film "L'immensità" presentato a Venezia Emanuele Crialese racconta la sua esperienza di uomo transgender.
Nel film, la transizione di genere vera e propria, tuttavia, non è raccontata: si vede solo il "pre", il resto è lasciato nel dubbio, all'immaginazione di chi guarda. La casa è una sorta di navicella spaziale, è il corpo, non c’è nulla di realistico, dentro c’è il cuore e il cuore è malato". "È il film che inseguo da sempre, il più desiderato", ha detto, "Ora sono pronto.